giovedì 7 maggio 2015

I fiori del Drago


C'era una volta una bella principessa di nome Rosa che cercava marito perché il suo regno era minacciato da un drago feroce che voleva a tutti i costi rapirla. Infatti quando era appena nata i suoi genitori avevano preso dalla grotta del drago delle uova per curarla da una grave malattia e il drago aveva preteso in cambio che al compimento del suo diciottesimo anno ella sarebbe stata sua. La principessa terrorizzata dal patto scellerato che i suoi genitori avevano fatto, al suo diciottesimo compleanno rifiutò di andare sposa al drago e mandò messaggi in tutto il paese per cercare un valoroso guerriero che potesse difenderla. 
Si presentarono solo due uomini al suo appello: Sebastian un povero agricoltore giovane, bello e coraggioso. Egli era disposto ad uccidere il drago per lei e sposarla. Poi si presentò un principe, Sir George, un po' avanti con gli anni e sembrava valoroso ma solo all'apparenza. Sir George aveva ereditato dal padre un anello magico in grado di trasformare le persone in ciò che desiderava. Così ingannò la principessa e finse di uccidere il drago in un duello fuori le mura del castello. E così subito dopo questa messa in scena iniziarono i preparativi per le nozze. La principessa Rosa era disperata, questa volta doveva mantenere la promessa fatta ma il suo cuore era perduto per Sebastian. 
Una vecchia fata ebbe compassione di lei e così decise di aiutarla. Apparve in sogno a Sebastian esortandolo a cercare il vero drago, ucciderlo e portare una prova di ciò al re e alla regina. Gli donò una spada magica e lo guidò sulle montagne fino alla sua grotta. Egli uccise l'animale e prese il suo cuore come prova ma doveva sbrigarsi a tornare infatti se il cuore avesse smesso di brillare (dovete sapere che i cuori dei draghi emanano una luce luminosissima) sarebbe rimasto solo con una dura ed inutile pietra come prova.

Giunto al castello, si precipitò nella chiesa dove si stava svolgendo la cerimonia di nozze tra Rosa e Sir George, mostrando a tutti la prova. Il principe George, furioso, si scagliò contro Sebastian e, grazie all'anello, lo trasformò in una statua. Rosa disperata raccolse la spada e uccise Sir George. Tutto sembrava ormai perduto per Rosa ma la buona fata decise di nuovo di intervenire. Raccolse il cuore di drago e lo pose sulla statua di Sebastian. Mille luci come arcobaleni si sprigionarono,lo spirito del drago apparve davanti a tutti e parlò alla principessa:
<<Guardate a cosa vi ha condotto il non aver rispettato la promessa che mi è stata fatta,io chiedevo solo il vostro cuore>>. La principessa in lacrime si gettò in ginocchio dinanzi a lui:
 <<Vi prego,perdonatemi,voi che mi avete donato la vita,vi prego riprendetela ora e fatene in dono al mio amato io, non ne sono degna>>.
 Il drago allora commosso dalle sue lacrime e dal suo amore sincero per Sebastian,unì la sua anima a quella del giovane e infuse nuova vita nel suo corpo pietrificato.I due giovani in lacrime si abbracciarono e,mentre l'ultimo bagliore di luce svaniva risuonò un'ultima volta la voce del drago:
<<Spargete i piccoli semi che ho lasciato sulla mano di Sebastian, seminateli per tutte le valli in modo che io non venga dimenticato>>.
Così i due fecero e nacquero tanti bellissimi fiori dai colori brillanti del fuoco che vennero chiamati "Fiori Del Drago" e tutti vissero felici e contenti.


lunedì 20 aprile 2015

Il morso del drago

Entrarono e salirono quei gradini oscuri seguendo Gandalf che aveva acceso una torcia. Innumerevoli scalini spuntavano da una parete di roccia ,ma dall'altra parte si apriva il vuoto. Nessuno di loro parlò e per molto tempo l'unico rumore fu lo scricchiolare dei gradini sotto i piedi. Dopo quelle che sembravano ore giunsero ad un arco di pietra, esso era intagliato in modo tale che formava diverse fasce di rami fioriti che reggevano lo stemma della discendenza di Durin: un'incudine e un martello sormontati da una corona.

-Antica arte dei Nani- disse Gimli il nano.


Lo varcarono e videro una stanza di cui non si vedeva né soffitto né fine. Le colonne che sorreggevano la volta oscura erano scolpite con figure di animali: c'erano cani, draghi, aquile e persino galline. Ma nell'immensa sala erano presenti anche ospiti indesiderati. Sopra un mucchio di oro erano adagiati sei dragoni.

Avevano il corpo lungo e sinuoso di un serpente, a metà del corpo spuntavano delle zampe sottili e muscolose, simili a quelle dei cani selvatici. Le loro squame erano di un colore blu-grigio sul dorso e azzurro chiaro sul ventre. La testa a forma di serpente era contornata da una folta criniera di peli dorati e dalla bocca spuntavano lunghe zanne biancastre.

-Sono Galaki, serpenti delle cave.- disse Gandalf- L'esercito oscuro di Sauron li allevava per farli cavalcare dagli orchi, ma, per la loro imprevedibilità, furono liberati e sostituiti dai lupi mannari. Hanno zanne velenose quindi non fatevi mordere!-

-Non voglio averci a che fare, con quei maledetti serpenti! Quando abitavo nelle grotte insieme alla mia famiglia venivano e razziavano il nostro cibo. Molte famiglie sono state anche sterminate da queste creature. - ribadì Gimli disgustato.


Le bestie sembravano dormire un sonno profondo perciò la compagnia poté passare inosservata da quei mostri, ma dopo qualche passo il giovane hobbit Pipino inciampò su qualcosa e cadde. Uno scheletro di nano ancora con la barba gli piombò sopra e lui lanciò un urlo di terrore puro che svegliò uno dei Galaki il quale, aprendo i suoi occhi rossastri, li vide. -Correte forza!- gridò Aragorn, il cavaliere.


Non se lo fecero ripetere due volte e corsero più veloce che poterono fino ad un'apertura nella parete destra e vi si rifugiarono. 

La stanza era piccola ma da una parete scendeva una scala che si perdeva nel buio della grotta. La percorsero finché un pezzo della strada crollò. Frodo e Boromir restarono dall'altra parte: lo hobbit riuscì a saltare senza problemi ma, mentre era in aria, arrivarono i Galaki.

Le creature morsero il braccio sinistro del cavaliere Boromir prima che potesse prendere lo slancio per saltare, appena appoggiò il piede sull'altro tratto di strada scivolò un poco e sarebbe caduto nel vuoto se Gandalf lo stregone non gli avesse preso la mano. Lo tirò su e proseguirono a correre finché non videro una luce alla fine delle scale. Frodo fu il primo a vedere la luce: l'aria era molto più calda di quando erano entrati nelle miniere e il sole era ancora all'orizzonte. Erano stati lì dentro per alcune ore. 

-Aiutatemi- disse Aragorn, intento a spostare una grossa pietra sull'ingresso. I draghi erano quasi all'uscita della grotta. Si misero tutti a spingere la roccia per chiudere la cavità e Gandalf sigillò il tutto con un incantesimo.

Ma la felicità di essere scampati alla morte durò poco poiché si fecero sentire i lamenti di Boromir disteso a terra. Gandalf andò a controllare la ferita e appena alzò la manica della sua casacca lui lanciò un urlo da far ghiacciare il sangue nelle vene. Il suo corpo era colto da spasmi che gli deformavano l'espressione.

La ferita era formata da due grandi piaghe che affondavano nella carne ma la cosa più spaventosa era il sangue che usciva: era di un rosso cupo, quasi viola, il colore era dovuto dal veleno dei Galaki che si stava espandendo in tutto il corpo.

Gandalf tirò fuori dalle pieghe del mantello un frammento di una pietra grigia dalle sfumature azzurre, la avvicinò al morso del mostro e pronunciò alcune parole a bassa voce. Il sangue si schiarì e cambiò colore fino a tornare a un aspetto naturale. Poi lo stregone strappò una striscia di tessuto dai calzoni di Boromir e gliel'avvolse intorno alla ferita.

- Il morso guarirà con qualche giorno. Adesso pensiamo a noi! Siamo nelle terre di Rohan, abbastanza vicini alla foresta di Horst. Legolas, cosa vedi con i tuoi occhi da elfo? - esclamò lo stregone.

- All'orizzonte non c'è traccia di orchi, ma preferirei passare la notte al riparo tra le fronde di Horst -disse lui.

- Quindi dobbiamo arrivare alla foresta di Fort prima di sera? Faremo pranzo? - esclamò Sam. Come ogni hobbit aveva esigenza di rifocillarsi almeno due volte al giorno.

- Si dice Horst, comunque, ma sì, dobbiamo raggiungerla prima del crepuscolo - rispose Aragorn - E no, non faremo pranzo perché potremo finire il cibo -  Dopo queste parole si incamminarono per Horst tra i mugugni del buon vecchio Sam Gamgee che sentiva nostalgia di casa e della cucina. 


sabato 18 aprile 2015

La solitudine dell'orco Grendel





Sono Grendel, l'Orco feroce, infame e vagabondo. Vivevo nelle paludi e sulla terraferma. Un giorno il Signore delle Paludi mi aveva proscritto con la razza dei mostri, ma io per vendicarmi incominciai ad uccidere tutti. Massacravo e staccavo un ad uno le loro teste, le loro braccia e i loro piedi, comprese entrambe le gambe.

Cominciai ad ammazzarne quattro al giorno finché non diventarono cinque, sei, sette ed infine dieci. Ero crudele ma era la mia vendetta.


Passarono anni e anni e io continuai così, fino a quando non mi stufai. Erano passati  circa quattro anni. Incominciai a capire che la mia vita non era fatta solo per uccidere la gente, ma cominciai a sentire il bisogno di guardare qualcuno, di parlare, di amare. Mi accorsi che il mondo fuori era magnifico quando, un giorno, mi trovai a combattere con degli uomini.
Io ero il più forte, ero sicuro di me. Il guerriero che mi stava di fronte invece avvertii che non aveva timore di me, anzi mi stava sfidando. All'improvviso entrai in apprensione e se le cose oggi fossero andate diversamente? Se mi avesse battuto? Allora mi ricordai del mio passato. Non avrei mai immaginato di ritornare a pensare la mia vita precedente. Me ne andai. Abbandonai il combattimento. 

Dovevo vivere in mezzo alla natura per spazzare via come il vento ogni mia paura. Ricominciai a pensare se vivere o far vincere la morte e lasciarmi morire di solitudine. Ci riflettei abbastanza e senza nessun dubbio decisi di proseguire. Mi sarei disintossicato dalla mia vita piena di violenza e di omicidi. Non avrei più sfogato la mia ira nell'odio. Avrei provato a cambiare punto di vista. La mia vendetta doveva finire. Volevo avere diritto ad essere felice.

L'isola delle Sirene e degli Uomini Pesce

Tutto era circondato da acqua e mura.
La rupe sorgeva dal mare limpido. Sui pendii dell'isola era costruito un piccolo villaggio.
Entrando dalla porta delle mura che affioravano dalle acque si poteva giungere al porto dove la vita di ogni giorno scorreva tranquilla. Attraversando quel magnifico e possente ponte che conduceva alla città si potevano scorgere delle meravigliose abitazioni.
Case bianche, ricoperte di conchiglie, erano state costruite appositamente per conformarsi a quel magnifico ambiente.
Le conchiglie formavano disegni meravigliosi insieme a dei sassi dipinti a mano.
Percorrendo la via che conduceva alla città alta, si potevano ammirare mosaici che narravano storie di antichi miti.

Continuando sempre sulla stessa strada, si giungeva alla sommità della montagna che troneggiava in mezzo all'isola.

Sulla cima una costruzione si allungava verso l'alto. Sui lati del palazzo spuntavano le statue di draghi e pesci meravigliosi .
Il portale di pietra semitrasparente era aperto. Entrai.
Al centro della sala svettava la statua di un uomo che aveva  la parte inferiore del suo corpo a forma di pesce, egli teneva in mano una sfera bianca, sormontata da una stella a sette punte.

Era Myuzy, una divinità lunare, che dimorava sul fondo dell'oceano. La sua immagine rispecchiava nelle pareti rivestite di madreperla .
Gli abitanti non erano come noi, ma erano alti e dotati di poteri sovrannaturali. Avevano mani e piedi palmate e invece delle schiena avevano una corazza. Respiravano con le branchie. L'acqua era la loro vita. Erano degli Uomini Pesce. 
In mezzo alle onde riuscii a scorgere anche delle Sirene, una di loro si avvicinò a me e mi raccontò che gli uomini non potevano per nessun motivo lasciare l'isola in quanto erano vittima di un incantesimo della divinità Myuzy. Mi accorsi allora che le Sirene in realtà erano delle guardiane che sorvegliavano i prigionieri dell'isola. Mi lasciarono andare in quanto ero donna e così oggi vi ho potuto raccontare dell'isola delle Sirene e degli Uomini Pesce.


Come divenni una strega



Come tutti i giorni mi stavo guardando nel mio specchio magico per ammirare la mia bellezza, quando vidi attraverso le immagini evocate sulla sua superficie che c'era una ragazza molto più bella di me.

Così decisi di andarle a farle visita, per darmi un'aria un po' più veritiera mi trasformai in una vecchietta e presi una delle mele magiche che coltivava un mio servo.

Chiunque le dia almeno un morso, a breve, dovrebbe trovare la sua anima gemella, quindi presi una mela e mi incamminai verso la casa di questa Biancaneve (così il mio specchio mi aveva detto che si chiamava.)

Arrivata alla casa la vidi, nella realtà era ancora più bella, la chiamai e le chiesi se voleva una mela lei rispose di no, io insistei e alla fine finì per accettare.
Le diede un morso e il suo volto si illuminò, iniziò a dire:
"Buoniss........."vidi che si stava strozzando e poi cadde a terra, mi avvicinai al suo corpo e tentai di rianimarla ma niente.
Proprio in quel momento dall'angolo sbucarono i sette nani con i picconi, appena mi videro accanto al corpo inerte di Biancaneve iniziarono ad avvicinarsi minacciosamente a me e fui costretta a fuggire.
Da quel giorno fui sempre considerata una strega malvagia.

La pelle di San Tommaso


Era una bellissima giornata primaverile. Tutto era calmo e il sole splendeva nel cielo limpido di Lapedona. Quel giorno era il compleanno del mio amico Matteo.

Chi poteva immaginare che quella giornata si sarebbe trasformata in qualcosa di avventuroso?

Appena si fu riunita la compagnia iniziò la festa. Ci stavamo annoiando e non c'erano giochi divertenti da fare. Riccardo, il mio vicino di banco a scuola, propose di fare un salto nella sede della Pro Loco. In realtà avevamo deciso di fermarci a comprare le caramelle al bar, ma l'idea di andare altrove ci allettava di più.


Entrammo in una stanza piena zeppa di fogli che erano sparsi per terra. Cercammo di non farci scoprire visto che eravamo entrati di nascosto. In fondo a un corridoio vedemmo la luce intermittente di un neon che filtrava da una porta semiaperta. Uno di noi provò ad aprire meglio la porta che emise un cigolio raccapricciante. Entrammo.


La prima cosa che notammo furono dei fogli attaccati al muro e gettati a terra. Su quelle carte erano scritti con un pennarello rosso vivo dei simboli satanici e sul muro scorgemmo una serie di numeri, tra i quali ci sembrò di riconoscere la serie 666. Lanciammo un grido e fuggimmo via terrorizzati.



Corremmo verso il campo da tennis abbandonato. In fondo c'era un capannone. Per scherzo cominciammo a inseguire una lucertola, eravamo tornati più sereni ma a un certo punto il mio amico Ennio vide del sangue sul muro del capannone che si scorgeva da una finestra rotta. Sconcertati scappammo ancora una volta in preda al panico più totale!


Successivamente abbiamo scoperto che si trattava solamente di una serie di equivoci e che quella sul muro era solo vernice. C'è anche un lato comico in questa storia. Quando siamo scappati, la seconda volta, la maglia di George si è impigliata in un ramo e si è strappata. Daniele, con voce impaurita, quasi urlando ha esclamato: "Ma questa... è la pelle di San Tommaso!! È un segno divino!!!".

Discorsetto per far partire Bilbo Baggins

"Bilbo, questa è un’occasione imperdibile, potrai sperimentare nuove emozioni e sensazioni nuove, sapere come ci si sente senza le comodità della casa e forse, guadagnerai anche un po’ di soldi, così da poterti permettere una vita più agiata di quella che conduci. Ma ricorda, la vita è fatta di rischi, e se non vuoi rischiare, non sai cos'è la vita".

(Esercizio di scrittura: invita Bilbo a partire per un'avventura)